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Gli investimenti ESG: il lato “umano” della finanza

Paolo Bascelli, Milano, 19/01/2019

1. Introduzione


Il mercato finanziario gioca un ruolo di vitale importanza nell’incanalare nel giusto modo le risorse
finanziarie nel sistema economico al fine di supportare un processo di crescita e di prosperità.
Risulta quindi centrale l’importanza di figure come gli intermediari finanziari ed i gestori di fondi
d’investimento nell’identificare le migliori opportunità di investimento sia per il cliente sia per le
esternalità positive che tali investimenti di capitali possono avere sul benessere complessivo della
società sia in ottica presente sia, soprattutto, in ottica futura. Con questi propositi si è sviluppata una
forma di valutazione degli investimenti che non tenesse conto esclusivamente dei rendimenti, ma
anche di altri parametri quali il rispetto dell’ambiente, la riduzione delle disuguaglianze sociali in
termini di risorse e diritti e la corretta e trasparente gestione delle imprese da parte del management.
Tali parametri “aggiuntivi” sono ricompresi nella sigla ESG (Environmental, Social, Governance).
Nell’affermarsi di tali criteri di valutazione degli investimenti sono stati due eventi: la
pubblicazione dei Principi per l’Investimento Responsabile da parte delle Nazioni Unite nel 2006 e
la conferenza delle Nazioni Unite tenutasi a Parigi nel 2015, che ha prodotto come risultato gli
Accordi per il Clima di Parigi. L’intesa formale raggiunta a Parigi nel 2015 e sottoscritta da 170
Paesi (Stati Uniti inclusi, sebbene nel giugno 2017, il presidente Trump abbia comunicato la volontà
di abbandonare il Paris Agreement, fuoriuscita che non potrà avvenire prima del 4 novembre 2020),
si è posta degli obiettivi ambiziosi da perseguire per compiere una transizione verso un sistema
economico globale più sostenibile dal punto di vista ambientale, diminuendo in modo sostanziale ed
incontrovertibile l’impronta ecologica umana sul pianeta. Per dare seguito agli impegni presi, la
Commissione europea ha costituito, nel dicembre 2016, un gruppo di esperti (High-Level Expert
Group on Sustainable Finance, HLEG) con il compito di elaborare delle linee guida per lo sviluppo
della finanza sostenibile in Europa. L’attività dell’High-Level Expert Group on Sustainable Finance
si è concretizzata nel report finale del 2018, in cui il gruppo di esperti è riuscito a fornire delle
indicazioni da seguire per realizzare la transizione verso un sistema economico sostenibile, le quali
spaziano da una sensibilizzazione generale verso il tema, all’adozione di strumenti di finanziamento
specifici come i green bonds, passando per l’abbandono di un orizzonte temporale di breve termine
negli investimenti e per la definizione di principi contabili, il più possibile improntati alla
trasparenza ed al supporto degli investimenti di lungo termine ad impatto sociale ed ambientale
positivo.

 

Come si nota dal grafico esposto nella fig.1, l’industria del risparmio gestito pare aver colto la
sfida lanciata dalle grandi istituzioni sovranazionali. Il valore di mercato delle attività finanziarie
gestite secondo i Principles for Responsible Investments delle Nazioni Unite è aumentato
nell’ultimo decennio dai 6 trilioni ai 67 trilioni di dollari circa, così come è aumentato il numero di
istituzioni finanziarie, passate da circa 200 a più di 1700, che hanno accettato di adottare e di
incorporare i PRI nelle loro attività di gestione del risparmio. Particolarmente interessante è il trend
che riguarda il valore di mercato degli asset gestiti conformemente ai PRI: oltre ad essere positivo
risulta essere in forte accelerazione, dato che l’incremento registrato dal 2013 al 2017 è simile, se
non superiore, all’incremento registrato dal 2006 al 2013.

Figura 1. Valore di mercato delle attività finanziarie gestite che rispettano i Principles for Responsible Investment (scala valori a sinistra) e
numero di gestori che hanno deciso di aderire ed applicare i PRI nelle proprie attività di gestione del risparmio (scala valori a destra).

2. I criteri ESG
 

Il termine ESG è stato coniato per la prima volta nel 2005 nello studio firmato da Ivo Knoepfel, dal
titolo “Who cares wins” (tradotto “Chi si prende cura vince”). L’assunto principale su cui si basa
tale report è che l’adozione di criteri di rispetto ambientale, di inclusione sociale e di trasparente
gestione manageriale delle imprese, sia fondamentale per il buon funzionamento del mercato dei
capitali, del tessuto imprenditoriale oltre ad essere fonte di un maggior benessere sociale. Da ciò
deriva l’acronimo ESG, che letteralmente sta per Environmental, Social and Governance (tradotto
Ambiente, Società e Gestione di imprese ed istituzioni), con ognuna delle tre dimensioni che
racchiude distinti insiemi di fattori. Entrando nello specifico, nella categoria Environmental si tiene
conto di aspetti come i cambiamenti climatici, le emissioni di CO2, la deforestazione,
l’inquinamento dell’acqua, il corretto smaltimento dei rifiuti, la preservazione della biodiversità,
l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili; nella categoria Social si pone l’attenzione sulle politiche
di parità genere, il rispetto dei diritti umani e degli standard lavorativi, le politiche di valorizzazione
dell’individuo all’interno dell’impresa, il rapporto con la comunità civile e la tutela del
consumatore; nella categoria Governance invece si esaminano aspetti come la trasparenza dei
vertici societari, la composizione dei consigli di amministrazione delle aziende, il sistema di
retribuzione manageriale e del rispetto, nello svolgimento dell’attività aziendale, delle leggi e della
deontologia. Occorre sottolineare due aspetti rispetto all’adozione dei criteri ESG, come descritti
precedentemente e come rappresentati nella fig.2. In primo luogo non tutti i fattori devono essere
rispettati affinché si possa dire che un’istituzione o un’impresa adotta i criteri ESG (vi sono fattori
religiosi, culturali, ambientali che potrebbero confliggere ed impedire il rispetto di taluni parametri);
in secondo luogo l’applicazione dei criteri ESG deve avvenire sia sul fronte esterno nella ricerca
della controparte, sia sul fronte interno nell’utilizzo di tali criteri nello svolgimento dell’attività
operativa, altrimenti non si può affermare che un’azienda rispetta i criteri ESG.

Figura 2. Una rappresentazione grafica dei criteri ESG. Sebbene non sia necessario rispettare tutti i fattori, non è possibile escludere
interamente una delle tre dimensioni per avere un rispetto dei criteri ESG (fonte: Great Lakes Advisors).

2.1 Utilizzo dei criteri ESG
 

L’applicazione dei criteri ESG, nell’ambito della valutazione degli investimenti, è soggetta ad un
certo grado di arbitrarietà. I differenti tipi di investitori (privati e pubblici) adottano, infatti,
differenti approcci in base alla loro dimensione (gli intermediari finanziari più piccoli, ad esempio,
possono dedicare meno risorse economiche e di tempo nell’effettuare analisi e screening degli
strumenti finanziari che si basano sugli ESG), al sistema di norme cui sono soggetti (potrebbero
sussistere limitazioni di settore, fiscali, geografiche) ed alle proprie politiche interne di risk
management (alcune istituzioni potrebbero essere sprovviste di risorse di monitoring del rischio o di
metodi di valutazione del rischio insito nella detenzione dei prodotti ESG) o semplicemente,
l’orizzonte temporale, necessariamente di lunghissimo periodo, richiesto dall’investimento in
strumenti ESG, potrebbe non conciliarsi con le politiche di bilancio interne, portando le istituzioni
che compiono valutazioni di questo tipo ad adottare un approccio di tipo “passivo” ai criteri ESG.
Date le specificità sopra elencate, si giunge ad identificare almeno quattro gradi diversi di
implementazione dei criteri ESG nella valutazione e nella gestione degli investimenti, così come
indicato nella fig.3.

Figura 3. Livelli di implementazione dei criteri ESG nella valutazione di investimento in un bond ESG (fonte: World Bank).

3. Evidenze sui rendimenti degli strumenti che includono i criteri ESG nella valutazione rispetto
agli strumenti tradizionali

 

Molti studiosi hanno cercato di appurare se sussiste un legame tra la performance di uno strumento
finanziario e l’applicazione dei criteri ESG. La scarsa disponibilità di dati storici sui rendimenti
degli strumenti basati sugli ESG, non ha consentito, ad oggi, di formulare giudizi univoci ed
incontrovertibili sul legame tra performance finanziaria di uno strumento e rispetto dei criteri per
l’investimento sostenibile e responsabile. Ci limiteremo pertanto a valutare, secondo le differenti
aree geografiche, come hanno performato i titoli delle aziende che incorporano i criteri ESG rispetto
ai titoli delle aziende tradizionali che non li incorporano.

Figura 4. Confronto tra l’andamento dell’indice MSCI USA delle aziende leader nell’implementazione dei criteri ESG e l’andamento
dell’indice MSCI USA delle aziende che non utilizzano i criteri ESG (fonte: MSCI).

Per quanto riguarda gli USA, si può notare dal grafico presente nella fig.4, come l’indice delle
aziende “sostenibili” abbia sotto performato rispetto alle controparti tradizionali. La motivazione
principale risiede nella scarsa attenzione alle politiche di rispetto per il clima da parte
dell’amministrazione Trump ed al blocco di riforme adottate dalla precedente amministrazione
Obama: è in fase di cancellazione il Clean Water Act che aveva come obiettivo diminuire del 60%
l’inquinamento dell’acqua; è stata autorizzata l’estrazione di rame e cobalto nella riserva naturale di
Escalante National Monument nello Utah; sono stati cancellati i limiti alle emissioni di metano
previsti dall’amministrazione Obama, che avevano come fine quello di ridurre le emissioni del
35%; è stata addirittura adottata una norma che autorizza nuovamente l’utilizzo dell’amianto.

Figura 5. Confronto tra l’andamento dell’indice MSCI Europe delle aziende leader nell’implementazione dei criteri ESG e l’andamento
dell’indice MSCI Europe delle aziende che non utilizzano i criteri ESG (fonte: MSCI).

Per quanto riguarda l’andamento degli indici dell’area europea, raffigurati nella fig.5, si nota
come l’indice MSCI Europe ESG Leaders abbia sovraperformato, seppur di poco, rispetto all’indice
europeo delle aziende “tradizionali”. L’aspetto più interessante da sottolineare è quello che riguarda
la biforcazione dell’andamento degli indici: dal settembre 2007 a poco prima di marzo 2015, i due
trend erano quasi perfettamente coincidenti, mentre in seguito ha cominciato a crearsi un
differenziale tra i due tracciati. La ragione sta, essenzialmente, nel raggiungimento degli accordi sul
clima di Parigi del dicembre 2015, che hanno contribuito ad aumentare gli interessi degli investitori
verso questa nuova opportunità di investimento, coincisa con una fase di ricerca di rendimenti più
appetibili e di nuove strategie per ridurre la volatilità dei propri portafogli. Infatti, specialmente per
quanto riguarda il comparto obbligazionario, l’adozione dei criteri ESG nella valutazione del merito
creditizio dell’emittente, congiuntamente agli altri parametri utilizzati nella valutazione, consente di
formulare previsioni migliori sul rischio di controparte, diminuendo, conseguentemente, le
probabilità di trovarsi in portafoglio un titolo di un’azienda potenzialmente soggetta a scandali ed
inchieste (con ovvie conseguenze sulla volatilità del valore del titolo) o che addirittura rischia il
default.

 

L’ultima area geografica di cui analizzeremo le performance in termini ESG è quella dei mercati
emergenti (nell’indice MSCI Emerging Markets si tiene conto in particolar modo delle aziende di
Cina, Taiwan, Corea del Sud, Sudafrica, India), con l’andamento degli indici rappresentato nella
fig.6.

Figura 6. Confronto tra l’andamento dell’indice MSCI Emerging Markets delle aziende leader nell’implementazione dei criteri ESG e
l’andamento dell’indice MSCI Emerging Markets delle aziende che non utilizzano i criteri ESG (fonte: MSCI).

Le aziende che incorporano i criteri ESG hanno avuto una performance di gran lunga superiore
rispetto a quella delle loro controparti che non rispettano i criteri ESG. Le ragioni sono molteplici.
In primo luogo i mercati emergenti hanno sempre avuto una volatilità superiore nei rendimenti
rispetto a quella sperimentata dalle economie sviluppate, a causa delle normative meno stringenti,
cambiamenti demografici repentini e situazioni politiche instabili. Tutti questi fattori di criticità
possono essere assorbiti e gestiti meglio dalle aziende che perseguono politiche “sostenibili” e di
corretta governance, rendendole meno soggette a possibilità di sanzioni o inchieste. In secondo
luogo le possibilità di crescita economica dei mercati emergenti sono decisamente superiori rispetto
alle economie sviluppate: la possibilità di adottare i criteri ESG in nuove aziende, piuttosto che in
aziende già esistenti e già radicate, rende più facile perseguire gli obiettivi di “sostenibilità”
rendendo tali aziende più solide già all’inizio del loro ciclo vitale. In terzo luogo i mercati
emergenti, sono stati negli ultimi anni, la destinazione principale dei capitali finanziari degli
investitori alla ricerca di migliori rendimenti, ed è sotto quest’ottica che va vista la crescita dei due
indici MSCI Emerging Markets (sia quello degli ESG Leader, sia quello delle loro controparti
“tradizionali”), con l’unica battuta d’arresto nel trend rialzista, nemmeno troppo estesa secondo
quanto riportato nel grafico, dovuta all’abbandono del Quantitative Easing da parte della Federal
Reserve, che avrebbe fatto venire meno il sostegno economico ai Paesi Emergenti.

 

4. Conclusioni
 

Negli ultimi anni la finanziarizzazione sempre più accentuata e le crisi legate allo scoppio della
bolla dei mutui sub prime ed alla crisi dei debiti sovrani europei, hanno contribuito a far sì che la
finanza e gli investimenti vengano sempre più considerati solo come le manovre speculative di
alcuni soggetti con uno smodato desiderio di arricchirsi. Tuttavia tale interpretazione è, a parere di
chi scrive, fortemente limitante. La finanza, essendo uno dei campi in cui si articola l’economia,
come quest’ultima, è una scienza sociale, con al suo centro uomini, aziende, società e le relazioni ed
interazioni tra loro. Investire nei titoli di aziende che incorporano i criteri ESG, oltre ad avere un
vantaggio in termini di rendimenti superiori e di diminuzione della volatilità dei portafogli (si
caratterizzano infatti per la loro anti ciclicità e quindi si comportano meglio in fasi di mercati
ribassisti), consente di finanziare e di essere “protagonisti” di progetti che possono concretamente
aumentare il benessere sociale di tutti, difendendo l’ambiente in cui viviamo, abbattendo il più
possibile le disuguaglianze (si è fin troppo ragionato in termini di efficienza dall’avvento della
globalizzazione in poi) e creando migliori condizioni in termini di legalità e trasparenza a livello
aziendale. Tale tipologia di investimenti può quindi consentire alla finanza di recuperare la propria
principale funzione di essere il vero motore dell’economia reale e non una mera scienza fredda
basata sulla logica dei profitti e delle perdite.

 

In ottica di protezione e diversificazione del portafoglio gli investimenti ESG sono una soluzione
assolutamente valida. Si raccomanda inoltre di:

​

1) Avere un orizzonte temporale di lunghissimo periodo, almeno 5-10 anni;
 

2) Diversificare dal punto di vista geografico l’acquisto dei titoli ESG;
 

3) Prediligere l’acquisto di titoli obbligazionari come i “green bonds” emessi a livello
sovranazionale;

 

4) Prestare particolare attenzione ai costi di commissione e di gestione dei fondi e degli ETF
“sostenibili”.

 

Disclaimer: Questo articolo è frutto delle opinioni di chi lo ha redatto e supervisionato. Nessun compenso viene ricevuto per l’espressione di queste opinioni. Si dichiara inoltre di non avere alcun rapporto commerciale con le società e gli enti di ricerca menzionati in questo articolo.

​

Nota bene: le azioni sono uno strumento altamente volatile, pertanto la quota posseduta di tale strumento all’interno del portafoglio deve essere coerente con la propensione al rischio dell’investitore. È consigliabile affidarsi ad un professionista in grado di gestire il rischio in modo efficiente.

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